venerdì 19 febbraio 2021

Il linguaggio della montagna

Sono un giornalista. Da anni, ho il privilegio di svolgere il mestiere che ho sempre sognato. In un contesto globale sempre più esasperato, con un flusso di informazioni senza soste né ordine, considero tuttora il giornalismo una potenziale ancora al caos di un'informazione disordinata e superficiale. Giornalismo che deve essere sempre più veicolo di fiducia, di riconoscibilità, di credibilità, grazie alla scelta di una ragionata tipologia di linguaggio e al dialogo tra chi scrive e la realtà che descrive. 

Laghi di Lusia, val di Fassa

Trovare il linguaggio adatto a narrare il contesto di riferimento, per chi scrive, è semplicemente necessario. Ho aperto il blog "Le mie montagne" nel 2008, quando ancora miravo a diventare un giornalista, da allora - pur modificando ed evolvendo la tipologia di post che qui pubblico e condivido - ho sempre ritenuto imprescindibile andare alla ricerca di un linguaggio e di contenuti coerenti alla realtà descritta, aderenti il più possibile alle amatissime montagne. 

Per chi, come me, è nato e cresciuto in città, scrivere di montagna impone un passo indietro in termini di umiltà. Non scorre nelle mie vene il linguaggio parlato da chi vive 365 giorni in quota. Frequentandola sin dai primi mesi di vita, posso però contare su una matura idea di ciò che - tra ideale, epica e concreto - è per me la montagna. Una concezione che, con un turismo alpino sempre più esasperato e realmente "di massa", sta sempre più assumendo la forma di una fisiologica necessità di rispetto. 

Lo stesso andare in montagna impone l'introduzione del rispetto verso il panorama entro il quale ci muoviamo. Scrivere di montagna pretende altrettanta cautela. Ad esempio, la considerazione di un percorso alpino è soggettiva. Per raccontare per iscritto una tipologia di escursione - che magari qualcuno leggerà e seguirà a modello - è doveroso essere invece oggettivi.

La bellezza delle Dolomiti attira sempre più visitatori. Basti pensare che la stessa estate 2020, quella della pandemia Covid, ha visto Trentino e Alto Adige letteralmente presi d'assalto tra luglio e agosto. Sempre più turisti in montagna, sempre più persone non allineate al linguaggio, alle regole e al rispetto del contesto. Si hanno ancora negli occhi, sterminate e illogiche code di turisti davanti gli ingressi di note funivie. Il turismo di massa genera economia, certamente, ma impone purtroppo un carissimo prezzo da pagare alle valli montane. Ci sono sempre più mete "facilmente" raggiungibili da molti. Rifugi in quota ai quali si può arrivare in automobile, con visuali da favola servite dagli impianti di risalita. Sempre più persone arrivano dove le sovrastrutture logistiche, le portano in comodità. E lì, all'interno di quel vociare disordinato e confuso, è difficile ascoltare un linguaggio aderente alla fragile, incantevole bellezza della montagna.

Aggiornando periodicamente il mio blog, voglio sempre più ricercare quel tipo di linguaggio che rispetti la meraviglia descritta. In termini semantici, ma soprattutto etici. Se parliamo di terminologia, impossibile non passare da Mario Rigoni Stern, che in uno dei suoi capolavori - "Sentieri sotto la neve" - non parla di una "neve", ma di tutte le svariate tipologie di neve che la gente di montagna conosce, da quella di ottobre a quella di aprile, assegnando ad ognuna uno specifico nome di battesimo. Oppure basti pensare al riuscitissimo passaggio di Paolo Cognetti - nel suo splendido "Le otto montagne" - quando ragiona sull'onnicomprensiva parola "natura". Vocabolo che nella sua descrizione soddisfa il dizionario di un uomo di città, ma risulta vaga, astratta, indefinita per chi la "natura" la vive, e ne declina il significato nelle innumerevoli sfumature: "Noi qui diciamo bosco, pascolo, torrente, roccia, cose che uno può indicare con il dito. Cose che si possono usare". 

Il linguaggio della montagna può essere fatto di parole, concetti, cadenze e dialetti, ma anche più diffusamente di un modo di rispettare la sua totalizzante bellezza. 

Lo cercherò con costanza, seguendo anche un concetto che considero assolutamente calzante: il "fuori stagione", ovvero camminare, vivere la montagna dove, come e quando l'irrefrenabile turismo di massa non arriva.

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